Dei frontalieri, ovvero del come considerare un unico aspetto populista il fulcro delle relazioni Italia-Svizzera (e contribuire a rovinarle)

Migration

Da Imprenditore residente nella Provincia di Varese, a circa 40 min. dal confine con la Svizzera, ho sempre ricevuto gli “influssi” delle notizie provenienti aldilà del nostro territorio dove – in un’utopia che viene dipinta a tratti come il paradiso per lavoratori e Imprese – si lavora meglio.

 

I rapporti di lavoro Svizzera-Italia sono quindi stati un mio territorio di esplorazione più legato all’Impresa che al singolo movimento dei lavoratori/frontalieri, fino all’articolo pubblicato su foraus.

L’interessante analisi delinea l’eterogeneità del movimento e la proposizione che il rapporto tra i nostri due Stati sia quello di “parenti serpenti” assimilabile al rapporto tra cugini. Nell’analisi però si considera solamente metà della radice di questa relazione tra parenti invidiosi: la crisi in Italia e la ricerca di una situazione economicamente più attraente.

La “ricchezza” svizzera e il fisco elvetico non nascono per caso, ma per politiche precise, decise da Confederazione Cantoni, e – in alcuni casi – Comuni. E’ il caso del progetto Copernico, avviato dal 1997 per stimolare l’output economico nel Ticino. Garantendo condizioni favorevoli ad aziende qualificate che volessero fare impresa nel Cantone, il progetto ha attirato eccellenze produttive ed imprenditoriali, ottenendo un afflusso di competenze specifiche preziose.

Il fenomeno visto dall’Italia

L’offerta competitiva costituisce un’attrattiva per le stesse imprese locate nel Nord Italia, le quali a loro volta non nascono dal nulla e che in tutta probabilità hanno dipendenti ed un indotto. Nel periodo 2007-2013, ci sono stati eventi migratori a livelli imprenditoriale ancor prima che frontaliero verso la Svizzera. Alcuni nomi: Vf Corporation, che possiede tra i numerosi marchi, Timberland, Riso Gallo e una serie di eccellenze (dal farmaceutico all’IT) di ogni dimensione e fatturato.

Centro Svizzero a Milano

E’ logico aspettarsi che gli impiegati esistenti in queste aziende non siano tutti stati licenziati ma abbiano proseguito la carriera nella nuova sede. E’ lecito domandarsi quindi se, nella valutazione dei frontalieri, l’opinione pubblica tenga conto dell’impatto positivo sull’indotto prodotto in Ticino dalle aziende che hanno seguito il flusso migratorio. Senza includere il numero di benefits che l’assunzione di cittadini svizzeri porta all’azienda che decida di trasferire la propria sede oltre il confine Italiano.

All’accusa di dumping salariale si deve poi ricordare che gli imprenditori, a parità di qualifiche e professionalità, scelgono la proposta più competitiva: mantengono elevata la competitività aziendale a tutto beneficio delle casse erariali Cantonali. Si deve poi ricordare che il fenomeno frontaliero – sempre che non avvenga un boom demografico nelle città di Como e Varese e territori limitrofi – sia destinato comunque a raggiungere un limite, dato dall’accordo della doppia imposizione fiscale per i lavoratori che risiedano in una fascia chilometrica ben delimitata.

È molto facile quindi capire come il pacchetto impresa svizzero stia in realtà danneggiando il tessuto produttivo del Nord-Italia, creando danni ben più pericolosi sul lungo termine alla vitalità economica del territorio Insubrico. Da Imprenditore, mi è veramente difficile non valutare gli aspetti aziendali sopra descritti prima di pensare ai Frontalieri e ai danni potenziali da essi creati sulle relazioni bilaterali.

Reimpostare il dibattito partendo dai lati positivi

La verità è che la miopia sulla questione (da ambo gli Stati) impedisce di realizzare che ci troviamo in un regime macroeconomico di libera offerta – fiscale da un lato e di competenze dall’altro – dove la migliore offerta vince. Da un lato la vittoria è in campo aziendale: il Canton Ticino sta arricchendo il suo tessuto produttivo di molte realtà floride; dall’altro una fascia limitata di lavoratori beneficiano di un sistema Paese più attraente di quello originale in cui essi risiedono e ricoprono posizioni lavorative sempre più interessanti grazie al loro rapporto skills/costo.

Sarebbe utile per una volta iniziare a sottolineare le ricadute positive di questo strano rapporto simbiotico tra cugini, per rasserenare le relazioni ed iniziare a raggiungere qualche conclusione più importante: che forse la Svizzera abbia molte difficoltà ad aprirsi ad un mercato libero ed unico in continente Europeo, mentre le disorganizzazioni interne Italiane siano l’unica vera causa della perdita di tessuti produttivi strategici come quelli nel Nord.

E forse, un confronto costruttivo tra i due Cugini dell’Insubria aiuti a risolvere i problemi complementari gli uni degli altri, favorendo lo scambio di expertise tra i due Paesi. Per ricordarsi che – anche se cugini – si appartiene comunque alla stessa famiglia.